/ Jan 03, 2025
RITA VITALI ROSATI
Un viaggio per immagini, attraverso le emozioni che vive un condannato a morte è l”ultima creazione di RITA VITALI ROSATI “AMMMORTE”, un libro – opera, nel quale le immagini sostituiscono le parole.
“Ma come si vive nel braccio della morte?”.
Hoc est enim corpus meum
AMMMORTE
Come descrivere le emozioni di un condannato che vive nel braccio della morte?
Le parole a volte possono ingannare con i loro molteplici significati, mentre le immagini fotografiche creano una connessione immediata con il mondo delle emozioni, delle cose, dei corpi, della materia, perciò possiedono la facoltà di parlare un linguaggio universale.
Affrontare l’argomento da una prospettiva epistemologica, sarebbe troppo banale per un’artista che ha attraversato la storia dell’arte contemporanea dagli anni ’70 ad oggi, lasciando con la sua estetica un segno indelebile e profondamente innovativo, il cui contributo storico è ancora da contestualizzare adeguatamente.
Rita Vitali con la sua ultima provocante opera AMMMORTE narra, attraverso un viaggio documentario composto di immagini non contestuali, il multiforme spettro d’emozioni che vive un condannato a morte. Il viaggio emotivo avviene attraverso la presentazione di scatti fotografici che cristallizzano eventi del mondo al di fuori del carcere, ma che intendono sollecitare nell’immaginario di chi legge, l’entrata in campo di un mondo onirico, dove la realtà ritratta nella fotografia, rimanda a possibili scenari narrativi sospesi tra mondi paralleli, che si intrecciano e si sovrappongono, nel reticolato della memoria collettiva.
Invece di ritrarre banalmente una cella, dove si trova un condannato a morte, per creare un sentimento di sdegno o stupore nel pubblico, Rita Vitali Rosati inizia una corrispondenza con Terry Smith un ragazzo afroamericano che al momento dell’arresto ha solo 22 anni ed è detenuto in Florida con una condanna a morte, accusato di aver ucciso tre persone in una rissa per droga, senza che sul suo reato ci siano prove sostanziali, per determinare con assoluta certezza la sua colpa.
Dalla corrispondenza, l’artista pubblica una sola lettera, a fine libro, nella quale il ragazzo afroamericano afferma, che vivere nel braccio della morte è un inutile, estenuante esercizio di insight: in detenzione, si ripercorre la propria intera vita, ricordi, eventi, senza avere la possibilità di una redenzione sociale poiché la condanna cancella qualsiasi possibilità di pentimento e di perdono. Che senso ha pentirsi, se comunque, l’equazione, l’algoritmo della legge, prevede che il reato deve essere lavato e pagato, con un’altra morte? E che senso ha pentirsi quando il reato l’ha commesso qualcun altro? Quindi l’unica alternativa per un condannato a morte è il rifugio nel sogno, il viaggio onirico in una realtà parallela, dove il lieto fine è previsto.
E’ statisticamente accertato, che i condannati a morte, soprattutto in America, sono in genere emarginati che appartengono ai ghetti, alle periferie delle metropoli senza speranza alcuna, dove la povertà, l’ignoranza, i problemi mentali sono i padroni di casa. I criminali sono tali a seguito della mancanza di normalità ed integrazione sociale. Il gesto estremo ed efferato è, a volte, la risposta alle reiterate violenze subite da bambini, alle ingiustizie subite, alla povertà estrema cui sono costretti, al mancato inserimento sociale, ad un dolore immenso che sfocia in rabbia. La rabbia di chi non ha alcuna speranza di poter condurre una vita normale. Ma questa emozione è narrata dall’artista solo in modo indiretto, emerge come sentimento umano e latente, che snoda attraverso la carrellata di emozioni e situazioni analizzate, sempre sospese tra reale ed irreale.
In Ammmorte le immagini che ritraggono il mondo reale, grazie alla composizione narrativa che avanza per accostamenti ( i dittici), ed ad una serie particolare di tecniche fotografiche inventate dall’artista, lo sfumato, il mosso, la luce riflessa, creano una suspense nella visione, sollecitano lo sconfinamento dal mondo reale a quello impalpabile dei sogni, quel non luogo in cui un condannato a morte, secondo le parole di Smith, sperimenta di nuovo la libertà. Nel sogno si attua la possibilità di una vita altra, si lenisce il dolore per la vita mai vissuta nella sua interezza, quindi la possibilità per l’emarginato di diventare protagonista della propria esistenza.
L’artista crea una struttura narrativa per immagini, coerente e serrata, ricca di simboli , complicata da un’uso inedito di rimandi visivi alla storia dell’arte, che consentono di creare prospettive spazio temporali, multiple, a volte surreali. Una scala a chiocciola, per tradizione iconografica simbolo dell’ascesa dell’umano verso il divino o della sua discesa agli inferi, apre simbolicamente il flusso narrativo dell’opera AMMMORTE a pag.2 . La scala che si arrotola su sé stessa, rimanda per un verso alle scale che non offrono vie di fuga raffigurate nelle Carceri di Piranesi , ma anche alla condizione del penitente in espiazione , che similmente all’Angelo Caduto della Melancolia ,di Durer, per innalzarsi e raggiungere il divino, l’illuminazione ha bisogno di una scala. Al grigio di questa prima immagine, segue il viaggio attraverso un paesaggio totalmente rosso sangue di una minuscola quasi irriconoscibile imbarcazione verso un’isola: dal punto divista simbolico la sequenza narrativa è ricca di rimandi letterari.[1]
Ciò che incanta in questo scatto, è l’uso del rosso, lo sfumato, l isola in questo contesto specifico diventa il corrispettivo geografico di inquietudini esistenziali e incanti ingannevoli, metafora delle antinomie interiori dell’individuo, ma anche hortus conclusus, punto utopico di partenza originario dove ricreare il proprio mondo emotivo perduto. Le Isole nell’Odissea e nel romanzo greco, sono luoghi di eventi decisivi dove avvengono eventi decisivi, punti di svolta della narrazione. In questo caso l’Isola nera immersa nel paesaggio rosso sangue allude all’evento disastroso, il crimine che cambia il corso degli eventi. Infatti a pagina 6 la scansione temporale s’arresta con lo scatto- ritratto in bianco nero , di un uomo di schiena , con le manette ai polsi. Da questo momento in poi inizia la sequenza di immagini nelle quali Rita Vitali Rosati, altera la natura della realtà cercando lo sconfinamento nel regno dei sogni e delle emozioni. Per ottenere quest’effetto, usa una tecnica fotografica innovativa, cioè l’abbinamento di immagini affiancate ( dittici ) di cui una è in genere nitida, dunque rappresentativa della realtà così com’è, l’altra è spesso sfumata, o sfuocata o comunque scattata in modo tale da simulare un’atmosfera surreale, onirica. Nell’ opera AMMMORTE ne presenta 30. I dittici, accostano spesso situazioni opposte, alternano visioni nitide, dunque reali, a immagini totalmente sfumate, come a pag. 42, dove due uomini un po’ stralunati sono seduti a un tavolo, mangiano a sinistra, mentre a destra alcune figure sono sovrapposte tramite la tecnica tipica di questa artista del sovrapposto sfumato.
Con questa tecnica l’artista propone immagini sfumate, fotografie volutamente sgranate, per rappresentare la dimensione onirica. Quando cioè la realtà diventa talmente paradossale da trasformarsi in sogno e viceversa. L’alternarsi delle sequenze narrative, in maniera discontinua, è volta ad esplorare la psiche dei carcerati-condannati a morte, che diventano il suo vero strumento artistico. Le immagini sfuocate, in movimento, come a pag 23 dove una giostra è colta nell’attimo del moto, ma priva di bambini, ci narrano dell’infanzia negata dei carcerati ma per estensione dell’infanzia di tutti quei bambini che, ogni giorno vedono il proprio diritto ad una vita libera dalla povertà , negati a causa di guerre e violenze di ogni genere. Quest’immagine come molte altre, il dittico di pag 25, il dittico di pag. 30, diventano strumento di un’indagine psicologica che si carica di molteplici riferimenti iconografici: uno spazio compresso di significati simbolici. La fluidità impercettibile degli eventi, diventa elemento coagulante di tutte le immagini successive ai dittici che, per la struttura intrinseca, trasportano un carico temporale, dinamico in relazione alla narrazione.
[1]N. Brazzelli, Isole coordinate geografiche ed immaginazione letteraria, Mimesin, Milano Udine, 2012.
A pag 7 RVR introduce il primo dittico: una donna colta di schiena dalla parte destra della pagina e nella parte sinistre forse la stessa persona ferita al volto, sanguinante, a seguire una pistola puntata verso chi guarda: l’artista senza scrivere una sola riga ci ha trascinato dentro la situazione emotiva di un detenuto, in bilico tra volontà di redenzione, rimorso e rabbia. Ed ancora, quest’acme raggiunto con l’immagine della pistola, si allenta nelle immagini successive, dove un uomo ed una donna diventano sagome indistinte che camminano su una spiaggia sconosciuta, un qualsiasi luogo, un ovunque…le immagini si dipanano nel corso dell’opera fornendo una prospettiva inusuale alle circostanze ed agli eventi, creando un alone di meraviglia, mistero della realtà ritratta, che per la sua stessa irriconoscibilità, diventa sostanza e testimonianza di una dimensione onirica affascinante e coinvolgente.
AMMMORTE è un libro senza inizio né fine, narra frammenti di storie collegate da un filo rosso, cioè lo spostamento sul corpo fisico del disagio emotivo della confusione mentale che li sovrasta. L’ICONOGRAFIA delle singole immagini è articolata ricca di citazioni dalla Storia dell’Arte il che rende l’opera unica ed innovativa.
RITA VITALI Rosati in AMMMORTE, non si limita semplicemente ad indagare il tumulto emotivo di un condannato a morte, ma ci chiede di soffermarci a riflettere su che cosa ci rende umani. Quali sono quei sentimenti che ci consentono di demarcare un limite tra la coscienza tecnologica che chiede vendetta, ragiona tramite algoritmi emotivi ,che può persino condannare a morte qualcuno, e l’estesa, inafferrabile, imprevedibile, coscienza umana che riesce a perdonare anche i delitti più efferati, riconoscendo che il dolore di chi ha ucciso è analogo al dolore di chi ha subito? AMMMORTE, documenta un viaggio “A rebours” nel mondo reale , quel modo che ha creato la situazione emotiva sfociata nell’ipotetico reato : è un un viaggio iniziatico e catarico, simbolico, dentro e fuori i sogni, che oscilla tra situazioni di mondi reali ed immaginari. Realtà o immaginazione, sono gli estremi opposti, entro il quali l’artista crea quella profondità visiva che caratterizza la sua opera AMMMORTE, strutturata su diversi piani visivi , che consentono di spostare il focus, su diverse situazioni. Lo sfocato, i dittici, sono l’equivalente di situazioni emotive diverse, prospettive con diversi punti di fuga, che si intrecciano, si sovrappongono, sono immagini corali, sfumano come nei sogni, creano visoni di realtà parallele, il cui limite tra ciò che è reale ed irreale è in continuo movimento. La fotografia di RVR crea una tensione emotiva che le consente di indagare i recessi dell’inconscio, enfatizzando il potere simbolico delle visioni per rivelare, come fine ultimo, verità nascoste ed emozioni represse. Questo tipo di fotografia permette di dare vita ad atmosfere suggestive, irresistibili e cariche di significato, proponendo un viaggio multisensoriale attraverso luoghi e situazioni emotive.
RVR ci conduce fuori dall’orrore e dal risentimento che proviamo verso un condannato a morte, ci presenta realtà alternative come una via di scampo dall’orrore, attraverso il perdono e la redenzione, ricordandoci come nel dittico a pag. 72, nel quale un teschio è abbinato al volto di un uomo, morto, che vanitas vanitatum, et omnia vanitas ( Ecclesiaste1, 2; ripetute poi in 12, 8).
L’ultima fotografia, l’ultimo dittico che conclude il libro\ opera, si conclude sul lato destro con l’immagine, sfuocata di alcune candele bianche in primo piano e sul retro, una signora che le accende, mentre a sinistra, un campo nero invade lo spazio. Il nero è la nigredo alchemica, la fine con il nero ci riporta all’inizio, quando l’iniziato alla ricerca del procedimento per creare la pietra filosofale, deve attraversare la putrefazione e la decomposizione. Prima di condannare a morte qualcuno forse, dobbiamo a livello collettivo, attraversare la notte oscura dell’anima, di junghiana memoria, e confrontarci con l’Ombra dell’anima collettiva. Solo così potremo raggiungere ed attuare l’enantiodromia, cioè il passaggio dalla nigredo all’albedo, consentendo alle anime di illuminarsi di luce universale.
Marta Massaioli, Fossatella, 2 novembre, 2024
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